Giovanni Lindo Ferretti, insieme a Massimo Zamboni, fu il fondatore del gruppo punk CCCP la cui compagine raggiunse poi la completezza con la mitica benemerita soubrette Annarella Giudici e l’artista del popolo Danilo Fatur.
Il suo libro Óra. Difendi, conserva, prega – il cui titolo riprende il verso di una nota poesia di Pasolini – fa sussultare il cuore. Ci sono riflessioni generate da livelli di consapevolezza che lasciano spiazzati per la crudezza, la verità e la disarmante evidenza di ciò che proclamano.
Sorprende il fatto che alle persone comuni non sia dato cogliere questo senso ultimo delle cose, degli eventi, dell’esistenza. È agevole il compito di leggere un testo in una lingua arcaica e riuscire a interpretarlo conoscendo l’idioma in cui è stato redatto. È cosa ben più complessa decifrare i simboli originari ed i caratteri in cui esso è stato scritto.
Giovanni Lindo Ferretti ha questa capacità: riesce a scorrere tra le pieghe della storia, dell’esistenza, dell’animo delle persone e scende subito in profondità, senza convenevoli e salamelecchi di sorta. Coglie l’essenziale ed intorno ad esso si estingue la necessità di ornarlo con orpelli e moine. Da vecchio “punkettone”, come ama definirsi, non si ferma alle apparenze ed anzi cerca di inserire il bastone nel meccanismo antico delle convenzioni sociali affinché sia reso possibile l’emergere di ciò che è fondamentale, evitando la diluizione in una prolissa retorica.
Tempo addietro non comprendevo a fondo il senso del salmodiare nei loro brani. La riproposizione ossessiva di una parola, di una frase, di una locuzione era estranea al mio modo di pensare, alla mia sensibilità, ad una visione ideologica che invece apprezzava la complessità e l’analisi, per la rappresentazione esaustiva di una realtà che appariva sempre ricca di sfumature. Non capivo la necessità di ripetere spasmodicamente un termine nelle frasi musicali dei loro pezzi. Ho constatato poi che con le persone anziane allettate, alla fine della loro vita magari con funzioni cognitive compromesse, non ha senso articolare un discorso. Non capirebbero e non avrebbero interesse a seguire il filo di un ragionamento. Pronunciare invece termini evocativi, parole-stimolo o nomi di cose che hanno segnato la loro esistenza, riesce a riaccendere lo sguardo, ad inorgoglirli ed a far rinascere un sorriso sulle loro labbra, come la stessa rassicurante nenia di una preghiera che permette di ritornare al senso primigenio della vita, degli affetti, dello stare in comunità. Sono parole in cui risuonano significati arcaici senza la necessità di imbastire discorsi ed arabeschi magniloquenti.
Ecco il senso del salmodiare: liberare l’essenziale da tutto ciò che è superfluo, coglierlo, raccoglierlo e riproporlo. Questa è la potente poetica di Giovanni Lindo Ferretti che si esprime nel suo periodo punk e in tutte le espressioni della sua arte.
Il libro parla di una riscoperta che è stata in grado di ridefinire il contorno esistenziale dell’Autore e di rendere pregno di significato ogni giorno della sua vita terrena.
È stato un lungo viaggio a ritroso alla ricerca del senso, spesso seguendo le orme che si era lasciato alle spalle e che lo ha portato a ritrovare se stesso nei primi ammaestramenti, negli insegnamenti che gli furono impartiti da fanciullo quando imparò – grazie alla guida soprattutto della nonna – i rudimenti della buona educazione e soprattutto i cardini della religione cattolica nei cui precetti era vissuta la sua famiglia. Ha riportato alla memoria le preghiere della sua infanzia, la recita del rosario. Lo ha riproposto alla madre sofferente che ormai si avviava verso l’epilogo della propria esistenza ed in tali preci, spesso recitate in latino, ha ritrovato il nucleo della propria identità e l’origine della propria sensibilità umana ed artistica.
Di orazioni l’Autore ne ha composte diverse nella sua carriera. Basta ricordare il brano Madre dei CCCP che è una toccante preghiera alla Madonna. Sembra stridere con lo stile e le posizioni ideologiche del gruppo punk eppure incarna la propensione alla dissacrazione ed alla provocazione che prende forma anche quando ha a che fare col conformismo ateo ed anticattolico.
Ciò che colpisce di Giovanni Lindo Ferretti è la selezione meditata ed accurata delle parole. Ogni termine utilizzato sembra venir fuori da un processo di decantazione, valutato, soppesato ed alla fine scelto. Per un “cantore” (come l’Autore si definisce) è fondamentale mettere una parola accanto all’altra in modo oculato e ponderato. Per questo i suoi testi, accompagnati dalla musica irritante dei CCCP o dalle potenti sonorità dei CSI o dei PGR (Consorsio Suonatori Indipendenti e Per Grazia Ricevuta, altri due gruppi musicali di cui ha fatto parte), uniti al timbro particolare della sua voce, acquisiscono un vigore in grado di far trasalire l’animo e far sobbalzare lo spirito e si ha l’impressione di non poter riuscire più a farne a meno.
L’Autore si è riavvicinato al cattolicesimo ed è ritornato alla vita dei suoi avi. Si è trasferito nella frazione di Cerreto Alpi del comune di Ventasso, nella propaggine sud-occidentale della provincia di Reggio Emilia (a ridosso della Toscana, ai confini della provincia di Massa-Carrara ed a pochi chilometri dalla Liguria) dove da sempre era vissuta la sua famiglia occupandosi di allevamento. Ha preso dei cavalli ed ha dato vita ad un Teatro Barbarico dove protagonisti sono questi stupendi animali, rievocando lo stile di vita e facendo rivivere la memoria delle genti longobarde che si stanziarono nei paesi dell’Appennino tosco-emiliano:
«noi siamo i Barbari, nostri progenitori i Liguri montani rinsanguati Longobardi» (p. 26)
A tal proposito a p. 25 cita en passant anche la deportazione dei Liguri nel Sannio (nel 181 a.C. i Liguri Apuani furono trasferiti in un insediamento poi denominato Bebio, nei dintorni dell’attuale centro abitato di Circello).
È storia recente la reunion dei CCCP – Fedeli alla Linea con la mostra Felicitazioni! allestita a Reggio Emilia per i 40 anni della band, nuovi LP e concerti tenuti in varie parti d’Italia.
Gaetano Ferrara