Non tutte le epidemie diventano pandemie. Quando la diffusione di una malattia infettiva non è più limitata ad una determinata regione ma interessa vaste aree del pianeta e diventa incontrollabile, viene dichiarata pandemia.
I motivi della propagazione tanto vasta dell’infezione dovuta al virus Sars-CoV-2 risiedono nella sua facilità di trasmissione, nella possibilità che i vettori siano asintomatici e nel ritardo con il quale si manifestano eventuali sintomi, cosa che rende difficile individuare ed isolare con celerità chi è stato contagiato.
Il modo in cui viene condotta la battaglia contro una pandemia – come il Covid-19 – presenta interessanti analogie con le procedure messe a punto per il controllo da remoto delle sonde che vengono inviate nello spazio.
Il centro di controllo missione è la cabina di regia dalla quale vengono trasmesse le istruzioni alla sonda spaziale – previa consultazione di esperti di varie discipline – così da poter variare il suo assetto mentre viaggia nel vuoto, attivare, disattivare o cambiare la configurazione di sottosistemi, guidare il movimento di parti meccaniche. La successiva verifica dell’effettiva esecuzione dei compiti assegnati avviene attraverso l’analisi dei dati telemetrici inviati dalla sonda e captate dalle antenne sulla Terra.
La navicella spaziale più distante dal nostro pianeta è la Voyager 1. Lanciata nel 1977, si trova attualmente a 150 volte la distanza che separa la Terra dal Sole e si allontana dal Sistema Solare viaggiando alla velocità di circa 60.000 Km/h.
Un comando inviato dal centro di controllo missione sulla Terra – il Jet Propulsion Laboratory che si trova a Pasadena, in California – mediante la rete di radiotelescopi Deep Space Network, impiega attualmente ben 21 ore per essere captato dall’antenna del diametro di 3,7 metri della Voyager 1, ma anche i dati di telemetria della sonda impiegano altrettante 21 ore per tornare indietro e raggiungere la Terra. Questo vuol dire che si può avere un riscontro ad una istruzione inviata alla Voyager 1 solo dopo 42 ore. Il feedback non è immediato ed è necessario attendere questo lungo lasso di tempo per valutare la portata e l’efficacia degli ordini impartiti.
Chi ha il compito di gestire l’emergenza dovuta al Coronavirus si trova in condizioni analoghe. Per valutare gli effetti di ogni provvedimento, si è costretti ad aspettare parecchi giorni. Il feedback non è immediato e l’efficacia di ogni iniziativa intrapresa può essere valutata solo dopo settimane.
C’è tuttavia una fondamentale differenza tra i due dispositivi di controllo. Nel governo di una navicella spaziale si ha a che fare con un sistema che possiede già una propria stabilità e vengono impartite istruzioni in grado di apportare cambiamenti minimi ai sottosistemi presenti sulla sonda, in modo da incidere il meno possibile sul suo equilibrio complessivo. Nella gestione della pandemia, invece, ci si trova di fronte ad un fenomeno che è fuori controllo e per questo le azioni tendono ad essere ad ampio raggio ed a volte anche grossolane, in modo che possano avere vasta portata. Solo col passare del tempo si può pensare di sfoltire la quantità di provvedimenti adottati, cercando di enucleare i contesti che palesino criticità, sterilizzandoli, e valutando la possibilità di abrogare singole disposizioni restrittive, in modo da scongiurare nuove accelerazioni della propagazione dell’infezione.
Gaetano Ferrara