Se una nazione straniera invadesse l’Italia, noi Italiani cosa faremmo? Poniamoci questa domanda, prima di leggere il libro di Di Fiore.
Questo testo fa luce sui morti, sui troppi sacrifici, sulle tante battaglie combattute per difendere uno Stato legittimo, riconosciuto da tutti gli altri Stati del tempo, nel territorio del quale le Camicie Rosse di Garibaldi penetrarono con facilità, apparentemente in modo inspiegabile, affondando come una lama nel burro. Dopo aver attraversato la Sicilia, la Calabria e tutta la provincia di Salerno e di Napoli, i Garibaldini arrivarono nel Casertano dove si ricongiunsero con l’esercito Piemontese che intanto era sceso lungo la penisola, occupando le attuali Marche – che costituivano i territori orientali dello Stato Pontificio – e dilagando in Abruzzo, in Molise ed infine dirigendosi verso Capua.
Il re Francesco II di Borbone tentò una strenua resistenza lasciando Napoli in modo che la città potesse diventare quella che noi oggi diremmo “una città aperta”, affinché non subisse devastazioni e rovine a motivo della guerra. Si diresse a nord per affrontare i Garibaldini sul Volturno, a Capua, ben sapendo di disporre di una struttura difensiva di tutto rispetto che avrebbe potuto non solo reggere l’attacco dei Garibaldini ed arginare il loro impeto, ma che sarebbe anche potuta servire da base operativa per lanciare una controffensiva. Alla fine tuttavia, l’arrivo dei Piemontesi da nord-est indusse Francesco II a ritirarsi verso Gaeta ed a tentare un’ultima difesa del suo regno – ripetiamo – legittimo, che stava per essere usurpato da Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna, grazie all’appoggio di potenze straniere e dopo aver preparato il terreno attraverso la cospirazione e la corruzione degli alti ufficiali dell’esercito borbonico.
Di coloro che morirono in questa battaglia praticamente non restò traccia. Sono stati cancellati dalla storia perché non potevano trovare un posto nella narrazione ufficiale delle gesta del Risorgimento. Bisognava costruire il mito epico dell’unificazione politica della penisola italiana. Per esigenze agiografiche, quei morti vennero uccisi una seconda volta, questa volta sepolti nel silenzio più vergognoso da una storiografia di parte, poco interessata a fare luce sulle vicende storiche e più accorta nell’evidenziare singoli episodi e personaggi che potessero servire per dare corpo alla retorica del Risorgimento, che è quella che poi ci è stata insegnata a scuola.
E’ un libro da leggere assolutamente. Lo consiglio vivamente non solo perché parla di Storia vera, facendo conoscere vicende, battaglie e personaggi che altrimenti sarebbero destinati a restare nell’oblio, ma anche perché è appassionante, ben scritto, con approfondimenti dettagliati. Su questo testo, inoltre, sono contenute due chicche. Per la prima volta viene fatta luce sul nome e sull’identità del colonnello Negri che guidò la colonna di soldati che il 14 agosto 1861 perpetrò l’eccidio di Pontelandolfo a danno della popolazione civile (per la cronaca, si chiamava Pier Eleonoro Negri e proveniva da Vicenza). La seconda notizia inedita contenuta nel testo, è il nome dei componenti e l’esatta consistenza della colonna di soldati guidati dal tenente Bracci che furono massacrati nei pressi di Casalduni l’11 agosto 1861.
E’ un saggio magnifico che vi resterà dentro la pelle.
Gaetano Ferrara