“La camorra e le sue storie” di Gigi Di Fiore (pubblicato nel 2016) è un corposo saggio di 558 pagine, di cui 115 di note, che riprende ed amplia la prima edizione andata in stampa nel 2005.
Il testo si sviluppa su diversi piani. Da una parte si ripercorre tutta la storia della organizzazione criminale che da sempre è stata identificata con la città di Napoli, la sua provincia e la regione di cui è capoluogo. Si svelano le sue origini partendo dalle organizzazioni malavitose introdotte dagli spagnoli per arrivare a tratteggiare la nascita della figura del guappo, nel XIX sec., con la “Bella Società Riformata”, il capintesta, i capintriti, la zumpata e tutti quegli elementi iconici che fanno parte della rappresentazione classica del camorrista ottocentesco, che assume anche tratti romantici e le cui imprese assurgevano alla dignità di mito. Si passa poi ad analizzare il ruolo che ebbe la camorra nei frangenti successivi alla conquista del sud ad opera di Garibaldi. Ci furono alcuni tentativi di stroncare il fenomeno delinquenziale ma esso ritrovò sempre la forza di rinascere dalle proprie ceneri.
Uno spartiacque fu il processo Cuocolo – celebratosi negli anni che precedettero la Prima Guerra Mondiale – che per la prima volta mostrò quanto radicata fosse l’organizzazione malavitosa a Napoli.
Seguì il fascismo e una nuova fase di quiescenza fino al fiorire di attività criminali successive all’arrivo degli Alleati a Napoli. Durante l’occupazione ed il primo dopoguerra, la camorra assunse la fisionomia più nota con la nascita di poteri criminali radicati sul territorio, in grado di creare veri e propri quartieri-stato (Forcella, Sanità, Quartieri Spagnoli).
Un ulteriore piano di analisi è rappresentato dalla geografia della camorra, con l’indicazione delle zone di influenza delle diverse famiglie e con la ricostruzione delle guerre interne alla camorra che hanno permesso ad alcuni gruppi di espandersi e di estendere la propria egemonia ad altre zone della città o della provincia.
C’è anche l’interessante disamina delle strutture interne e dei rapporti di sudditanza, sanciti da riti e consuetudini, che hanno caratterizzato i vari gruppi nelle varie epoche storiche, differenziando, ad esempio, i clan di provincia, con un assetto meno fluido e con un potere più consolidato sul territorio, simili – per strutturazione interna – ai gruppi mafiosi siciliani, da quelli che hanno operato storicamente nel dedalo di vicoli della città di Napoli, con struttura più fluttuante, soprattutto dopo che i capi storici sono stati falcidiati da azioni di polizia.
Una terza chiave di analisi è legata alla storia economica della città di Napoli con le relazioni esistenti tra mutamenti di ordine socio-economico e le trasformazioni interne dei gruppi criminali egemoni in città e nella provincia.
La parte clou del testo è la ricostruzione minuta delle vicende criminali che vanno dall’ascesa di Cutolo e della Nuova Camorra Organizzata fino alla vittoria della Nuova Famiglia ed alle successive guerre interne a quest’ultimo sodalizio criminale, tra i vari clan che ne avevano costituito l’ossatura. La narrazione procede spedita per la grande familiarità che l’Autore ha con gli eventi che racconta. Negli anni immediatamente successivi alla fase più cruenta di quella guerra di camorra, infatti, Gigi Di Fiore lavorava per “Il Mattino” come cronista di “giudiziaria” nel tribunale di Napoli ed ha vissuto in prima persona le inchieste di quegli anni ed il clima che si respirava.
L’ultimo capitolo – non è presente nella edizione del 2005 – è dedicato alle baby gang che hanno preso piede a Napoli quando i vecchi riferimenti storici – i capifamiglia – sono stati inghiottiti dal 41 bis o hanno avuto accesso al programma di protezione per i pentiti. Si ripercorre il moto ondoso dei vari raggruppamenti di giovani criminali che vivono in città, con alleanze mutevoli ed altalenanti, repentine costituzione e ricostituzione di gruppi criminali e rapidi mutamenti di fronte e di schieramento. Questo mondo accidentale, fatto di scooter, di spaccio e di baldanza, che raggiunge la sua fase parossistica nelle “stese” di camorra, viene messo a confronto con il controllo del territorio esercitato in provincia, posato, meno appariscente ma più solido e concreto, che permette ai gruppi malavitosi di puntare in alto, di inserirsi all’interno dei meccanismi di assegnazione degli appalti per distrarre fondi ed intercettare i grandi flussi di denaro che fluiscono dalle amministrazioni degli enti locali alle imprese aggiudicatarie dei lavori pubblici. Per esemplificare, si citano e si approfondiscono i casi dei comuni di Giugliano e di Quarto.
Il libro si chiude con una ricca appendice in cui trovano posto lo statuto della “Guarduna” spagnola del 1420, il “frieno” del 1842, il “giuramento di Palillo” e le interviste, tra le altre, a Giuseppe Misso, a Ciro Cirillo ed al magistrato Lucio Di Pietro.
La decapitazione dei clan a seguito di arresti e pentimenti, ha sottratto ai camorristi in erba esempi a cui ispirarsi, modelli a cui conformare il proprio linguaggio ed i propri atteggiamenti. In questo processo di ricostruzione della identità criminale di ognuno, giocano un ruolo fondamentale le fiction le quali suggeriscono stili comportamentali e linguaggio che, attraverso la trasposizione cinematografica, diventano iconici e ripropongono miti che ci si sarebbe auspicati fossero stati inghiottiti dalle sabbie del tempo.
Gaetano Ferrara