Il libro raccoglie i ricordi del bersagliere Carlo Margolfo che – essendo originario ed abitando a Delebio, in provincia di Sondrio – iniziò il suo servizio militare nel 1858 nell’esercito austro-ungarico per poi passare, agli inizi dell’autunno del 1859 (dopo la cessione della Lombardia da parte dell’Austria), nell’esercito Piemontese.
Dopo aver raccontato brevemente i mesi trascorsi in Piemonte ed in Emilia, comincia a narrare la sua lenta discesa lungo lo stivale iniziata nel settembre del 1860, prima attraversando la Romagna, poi penetrando nelle Marche, entrando trionfalmente a Pesaro. Margolfo narra la sua partecipazione alla battaglia di Castelfidardo (18 settembre) ed il suo ritorno ad Ancona per dare l’assalto alla Cittadella, prendendo posizione all’interno del Lazzaretto costruito proprio in mezzo al porto.
Continua il suo racconto riportando alla memoria l’attraversamento dell’Abruzzo e finalmente l’ingresso ad Isernia, l’incontro con le prime bande di briganti, le visite di Cialdini e di Vittorio Emanuele II al campo, l’incontro di Teano e quindi l’assedio della fortezza di Gaeta durato per diversi mesi fino a quando – nel febbraio 1861 – non avvenne l’esplosione della polveriera di Sant’Antonio e, nei giorni successivi, di altri depositi di munizioni. Margolfo era lì e ci fa rivivere i vari episodi che cadenzarono la definitiva sconfitta delle truppe napoletane nella strenua difesa del trono di Francesco II di Borbone. Narra della capitolazione della fortezza di Gaeta, dovuta alla diffusione del tifo tra i soldati borbonici nonché ai pesanti danni causati dal cannoneggiamento delle truppe Piemontesi. Racconta di quando Francesco II e Maria Sofia salirono su un’imbarcazione e partirono per l’esilio.
Margolfo, quindi, viene trasportato a Messina e vi resta sino alla capitolazione della Cittadella, poi ritorna a Genova imbarcandosi su diverse navi ed affrontando anche il rischio di un naufragio, per poi essere inviato di nuovo a Napoli e quindi a Capua.
Dopo questo epilogo delle operazioni strettamente militari da parte dell’esercito sabaudo, narra della variazione della missione, di quando viene impiegato per la repressione del brigantaggio. Racconta delle perlustrazioni, degli scontri armati con i briganti, del cauto avvicinamento, con i fucili spianati, ai paesi in cui si sospettava vi fossero dei briganti, del suo incontro con Pinelli e della disinvoltura con cui questo generale ordinava fucilazioni.
In queste operazioni per la repressione del brigantaggio, Margolfo si trova ad essere uno dei cinquecento bersaglieri che, agli ordini di Pier Eleonoro Negri, eseguono la rappresaglia a Pontelandolfo il giorno 14 agosto 1861. Il suo racconto è crudo e sconvolgente tuttavia il narratore non mostra particolare empatia per la fine dei poveri diavoli a cui lui ed i suoi commilitoni danno il supplizio e la morte. Riesce a giustificare a se stesso la necessità di quella punizione esemplare e conserva sempre un distacco emotivo da tutto ciò che di orribile gli capiti attorno, sia nelle battaglie contro eserciti nemici, sia nel momento in cui fa strage di civili inermi, assieme ai suoi compagni d’armi.
Conclude il suo diario raccontando di quando venne richiamato dopo il primo congedo (ottenuto nel 1864) per prendere parte alla Terza Guerra d’Indipendenza (1866) e del successivo congedo “assoluto” ottenuto nell’anno 1869.
Gaetano Ferrara