Agli inizi del XX secolo l’Italia era formalmente legata all’Austria e alla Germania da un trattato di alleanza (Triplice Alleanza) che aveva stipulato una trentina d’anni prima in funzione antifrancese.
Nel momento in cui scoppiò la Prima Guerra Mondiale, l’Italia si tenne fuori dalle ostilità in quanto l’automatico coinvolgimento in un conflitto a fianco degli alleati era previsto solo in caso di aggressione da parte di due potenze straniere. Nel frattempo, tuttavia, il Regno d’Italia non smise di confrontarsi con la diplomazia di Francia ed Inghilterra in relazione ad un possibile riallineamento sulle posizioni della Triplice Intesa, continuando al contempo ad intrattenere rapporti ed a intavolare trattative con gli alleati degli imperi centrali. Questa disinvoltura dell’Italia nell’accettare confronti e proposte da parte delle potenze di entrambi gli schieramenti, era già stata definita come innocui “giri di valzer” dal cancelliere tedesco Bülow nel 1902, per rassicurare circa la fedeltà italiana nonostante temporanei amoreggiamenti con altre diplomazie europee.
Dopo lo scoppio della guerra, forse per qualche mese l’Italia aveva accarezzato l’idea di poter restare neutrale ed approfittare della situazione per rifornire di prodotti i paesi coinvolti nel conflitto, anche perché aveva concluso solo da poco meno di due anni la Guerra di Libia contro l’Impero Ottomano. Ben presto, tuttavia, ci si rese conto che gli approvvigionamenti – soprattutto di carburante e di grano – dipendevano dalla flotta inglese che in quei frangenti dirigeva gran parte dei propri traffici verso la Gran Bretagna per le necessità legate al conflitto. Si comprese allora che, almeno dal punto di vista economico e finanziario, l’Italia non avrebbe attraversato indenne il periodo del confronto bellico.
Si presentava la necessità di mettere un freno al malcontento ed alle proteste che in Italia erano culminate nei sommovimenti della Settimana Rossa (agli inizi di giugno del 1914), acuiti dagli strascichi della crisi economica del 1913. A questo si deve aggiungere la chiusura di molte aziende, l’aumento della disoccupazione e la progressiva limitazione dei flussi migratori verso l’estero in conseguenza del conflitto in atto.
La grande industria incominciò a fiutare l’affare che si sarebbe prospettato in caso di entrata in guerra dell’Italia, con massicce commesse statali alle industrie siderurgiche e meccaniche per far fronte alle necessità dettate dal confronto armato. Cominciò così a foraggiare gli organi di stampa per alimentare la propaganda interventista.
In tutto questo scenario, per l’opinione pubblica italiana incominciava ad assumere un rilievo sempre maggiore la questione legata alle terre irredente (Trieste e Trento) che facevano ancora parte del territorio dell’Impero Austro-Ungarico ed in cui nei decenni precedenti si erano avute sollevazioni, immediatamente represse dalle autorità austriache.
Gaetano Ferrara